Europa 7 risulta essere l’unica emittente televisiva italiana priva di frequenze, caso unico al mondo.
Sembra quasi non esistere ed essere invisibile agli occhi di tutti, come le stesse frequenze di cui tutti parlano, ma al contrario ricopre una posizione cruciale nell'acceso dibattito che coinvolge tuttora l’intero parlamento.
Oggi infatti si è rimessa in tavola l'intera vicenda riguardante la sentenza della stessa Corte di Strasburgo sul caso Europa 7- Rete4 - che nel gennaio scorso ha sentenziato che il sistema di assegnazione delle frequenze radio-tv in Italia non rispetta il diritto comunitario.
Nessun passo indietro per il governo Berlusconi nonostante le proteste e l'ostruzionismo in segno di protesta dell'opposizione e qualche malumore nella maggioranza, il governo non ritira l'emendamento al decreto "Salva-Rete4" in materia di frequenze televisive (che secondo l'opinione del sottosegretario allo Sviluppo economico Paolo Romani «risponde pienamente ai rilievi dell'Unione europea» e «Retequattro non c'entra nulla» ) .
Facciamo un passo indietro.
Questa fantomatica vicenda vede coinvolto l'imprenditore Francesco di Stefano, proprietario nel 1998 della rete “Italia 7” che decide, nell’anno successivo, di abbandonare il vecchio progetto per creare una televisione nazionale con frequenze proprie cedendo quindi sia l'emittente di cui è proprietario, la laziale TVR Voxson, sia il circuito (successivamente gestito dal gruppo Media 2001).
Con il denaro ricavato ( 12 miliardi di lire) partecipa ad una gara pubblica per l' assegnazione delle frequenze televisive nazionali (in totale 11: 3 per la RAI e 8 per i gruppi privati) con richiesta di 2 reti televisive: Europa 7 e 7 plus e vince, nell’ottobre del 1999, una concessione per Europa 7, al posto di Rete 4, il quale perde il diritto di trasmettere.
Questo titolo concessorio prevedeva l'inizio delle trasmissioni entro il 31 dicembre 1999 rallentato da alcuni ricorsi effettuati da Rete Mia, Rete Capri e Rete A nell’agosto del 2000 per l'annullamento dell’approvazione del rilascio delle concessioni di radiodiffusione televisiva privata su frequenza terrestre.
Nonostante i ritardi, Europa7 aveva già programmato 700 assunzioni e la costruzione di un centro di produzione a Roma di 20000 mq, composto da 8 studios e una intensa library di programmi; il tutto abbandonato al caso in quanto Rete 4 continua ad occupare il suo spazio.
La sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Europea il 31 gennaio 2003 è la terza a favore di Europa 7 dopo quelle della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato e riconosce alla rete televisiva Europa 7 il diritto di trasmettere sulle frequenze analogiche terrestri che ha ottenuto nella gara pubblica del 1999 e, dall’altro canto, "impone" l'abbandono delle stesse da parte Rete 4 che dovrebbe trasmettere solo in digitale terrestre e satellitare.
L’intervento è quasi istantaneo: nell’estate dello stesso anno il ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri presenta un disegno di legge (nota come legge Gasparri) approvata dal Parlamento (ma non dal presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi che si rifiuta di firmare) per il riordino del sistema radiotelevisivo italiano e l'introduzione della trasmissione digitale terrestre. Oltre a questo si aggiunge l'intervento repentino del "decreto SalvaRete4" varato dal governo Berlusconi che permetterà la prosecuzione delle trasmissioni analogiche a Rete 4 , in contrasto con la precedente sentenza della Corte Costituzionale.
Nel luglio 2005, il Consiglio di Stato, dopo il ricorso di Europa 7, ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di rispondere a 10 quesiti, dove si mettono in discussione le leggi italiane in materia di televisioni ed è ora in ballo una richiesta sempre da parte di Europa 7 per risarcimento danni da parte dello Stato di 3 miliardi di euro per la mancata attività televisiva.
L'ultima udienza al Consiglio di Stato ha avuto luogo martedì 6 maggio 2008, intanto oggi la società Europa 7 è praticamente ferma attendendo la sentenza della Corte di Giustizia Europea.
Entro luglio verrà resa nota la sentenza: allora si saprà il destino del sistema televisivo italiano.
<<Ed io pago!>>